“Quando uscite a dipingere pensate semplicemente qui c’è un quadratino azzurro, qui un ovale rosa […] e dipingete proprio come vi sembrano il colore e la forma esatti, finchè otterrete la vostra impressione ingenua della scena” — Claude Monet
Monet, massimo esponente della corrente dell’impressionismo, era fermamente convinto che l’occhio umano quando guarda la natura non ne vede i dettagli, bensì ammassi di colore.
L’occhio coglie “impressioni” di colore capaci di sedimentarsi nella memoria dell’osservatore come orme impresse sulla sabbia.
Ho voluto fingermi una moderna allieva di Monet e cercare di descrivere a parole le macchie colorate che l’occhio vede quando approda sulle isole Pelagos.
Le Isole Pelagie sono sperdute nel Mare Nostrum e sono tre: Lampedusa la Bianca, Linosa la Nera e Lampione, un eremo di roccia calcarea non abitato dall’uomo.
Le due isole maggiori sono speculari ed antitetiche, un po’ come Achille ed Ettore nell’opera di Omero.
Lampedusa è una piattaforma calcarea: le rive rocciose emergono dalla spuma marina come candide cattedrali gotiche, assumendo sfumature che vanno dal giallo paglierino all’ocra intenso.
Le pareti della costa Nord offrono lo spettacolo di un’architettura naturale di sovrapposizione: porosa materia bianca intervallata da vene color dell’oro, strati sottili ed ordinati che si ripetono una, due, centinaia di volte.
La bianca costa si apre in alcuni anfratti che assumono, a guardarli bene, la forma di maestose entrate corrose dal sale e pazientemente cesellate da Eolo, porte di una città che fu, terra abitata da semidei o felice approdo di marinai fenici.
Questo scoglio ricorda davvero il figlio di Teti, Achille, capelli biondi, pelle candida e occhi color del mare: cosi come l’eroe greco le linee dell’isola sono spigolose, aspre, tutto sprigiona forza. Il corpo definito, massiccio e candido è segnato da valloni e alvei di antichi torrenti che ricordano le cicatrici e le rughe del soldato greco.
Altro colore lampedusano è l’azzurro, potrei giurarvi di aver distinto almeno 3 gradazioni diverse di tale colore nel mare di Lampedusa.
Abbiamo l’azzurro “acqua” della Tabaccara che cede il passo all’acquamarina di Cala Pulcino e poi ancora al blu di Prussia, che secondo Tancredi ne “il Gattopardo” era il colore della seduzione, un blu avvolgente, sensuale, tipico della costa Nord.
Lampedusa è fatta di bianco, ocra, blu e azzurro, un lembo di terra staccatosi dall’Africa che conserva in germe il mistero delle città arabe; la gente di qui porta ancora nel sangue tracce della superbia saracena: un’energia primitiva che riemerge con violenza dagli occhi, una luce che balena, una scintilla che infiamma qualsiasi sguardo isolano.
Per Linosa il primo colore rappresentativo è il nero: un’isola vulcanica, figlia della lava e del mare che in tempi lontani venne scelta da Efesto come sede per una delle sue numerose e laboriose officine, dove forgiava lame pregiate per i signori della guerra.
Il dio in seguito decise di trasferirsi sull’isola di Stromboli, lasciando vivere in pace gli abitanti discendenti di Didone.
Rimangono a ricordo le bocche spente di Monte Vulcano, Monte Nero e Monte Rosso.
Il nero della roccia avvolge ogni cosa e Linosa appare scontrosa eppur bellissima: una ninfa dalla pelle di ebano, divinità selvaggia con i capelli ricci color di foglia accarezzati dal dolce zefiro.
Il verde della vegetazione esplode nell’entroterra, ovunque sono pale di fichi d’india e chiome maestose di capperi: il lapillo vulcanico e la sabbia ferrosa rendono fertile e rigogliosa questa terra come un’oasi nel deserto.
Eppure con un colpo d’occhio la roccia nera appare macchiata… Prati di gigli bianchi sparsi, come lentiggini sul volto di una giovane o per affinità di colore come tante piccole lampare a calamari in una notte serena, avvolgono i fianchi dei vulcani e ricordano la ginestra di Leopardi che, impertinente, fiorisce in luoghi avversi.
Linosa è anche rossa con tutte le sfumature delle terre ricche di ossido di ferro; cala Pozzolana appare come una tavolozza di un pittore sbadato: una macchia color terra di Siena ed una macchia rosso ruggine spiccano dal fondo nero. Monte Rosso al momento del crepuscolo si tinge di rosso vendemmia, di nobile porpora come il sipario di un teatro che lentamente si chiude, di sottofondo il canto delle diomedee, sirene piumate.
Tutto è colore, meraviglioso.
Articolo di Francesca Diani
Foto di Tommaso Sparma
Una risposta su “Se Monet avesse visitato le Pelagie: Piccola enciclopedia dei colori isolani”
Sono ritornata a Lampedusa non è cambiato nulla come lo lasciata lo ritrovata . Ho fatto un’escursione a Linosa ,piccola isola con le sue falesie nere , e i suoi pescatori che hanno tanto da raccontare ,ho ascoltato con interesse alcune leggende.