Il Santuario di Lampedusa

Un luogo sacro, immerso tra aneddoti e leggende. Simbolo di un'isola dalla storia millenaria e complessa, sconosciuta ai più.

Il Santuario di Lampedusa, ricavato in una grotta, sorge a pochi metri da dove nasce la piccola valle, che dopo un breve percorso leggermente flessuoso va a finire a mare tra pendii rocciosi; nelle sue immediate vicinanze resiste ciò che è rimasto in loco della “florula spontanea lopadusana”, in via di totale estinzione.

Il Santuario (della Madonna di Porto Salvo) è antichissimo e con la sua storia, millenaria e complessa, si identifica quella dell’isola. Sorto come luogo di eremitaggio, con tutta probabilità le sue origini risalgono all’epoca dell’invasione della Sicilia da parte dei musulmani. In quell’epoca in cui talvolta le lotte erano suscitate da contrasti di religione, sarà sorto l’eremo ad opera di qualche eremita; oppure più tardi, dopo l’813, successivamente alla cacciata dei Musulmani da Lampedusa per intervento di Carlo Magno, dietro invito del papa Leone III. A ricordo di quella vittoria sarà sorto un piccolo sacello.
A partire dallo storico siciliano Tommaso Fazello, il primo che si è occupato ampiamente delle isole Pelagie e in special modo del Santuario di Lampedusa, essendo egli un religioso domenicano, molti sono stati gli Autori che ne hanno fatto cenno e quasi tutti riportano, con leggere varianti, le sue medesime notizie. Inoltre, in tempi più recenti, vanno ricordati: Bernardo Maria Sanvisente e Antonio Conti Dini. Ottimo è il contributo di studi di Amilcare Fantoli sul santuario e la relativa bibliografia apparsi nel 1956 e successivamente.

Il santuario come luogo di culto o di eremitaggio era già assai noto nel 1254, stando alla descrizione dell’anonimo cronista medievale al seguito del re di Francia, Luigi IX, di ritorno dalla Terrasanta dove aveva partecipato alla VI Crociata. Dalla descrizione del cronista francese emergono alcuni particolari di notevole importanza per la storia del Santuario. Nessun altare era collocato nei due vani che componevano il luogo sacro visitato e descritto. Nel primo vano sul pavimento, vi era una croce dipinta di colore vermiglio, simbolo dei Templari. Nel secondo vano, ossia all’interno, furono trovati gli scheletri di due persone; il cronista del re francese, inoltre, osserva scrupolosamente che il luogo era un “antico eremitaggio” e più avanti ribadisce l’antichità del sacello. Il riferire ripetutamente il carattere di vetustà del luogo visitato può far supporre che lo stesso poteva risalire già a secoli antecedenti, avvalorando così la tesi, confortata dallo studio del Fantoli, che il Santuario, o un primo luogo di eremitaggio, sia stato fondato sin dai tempi delle invasioni dei Musulmani, oppure dopo le successive lotte tra gli invasori e i Bizantini di Sicilia con la vittoria di questi sui primi di cui si è accennato sopra a proposito dell’intervento di Leone III, sollecitato con tre epistole indirizzate a Carlo Magno Imperatore del Sacro Romano Impero.

Coevo della visita del re di Francia è l’altro episodio dei cavalieri Templari Pisani che di rientro dalla Tolemaide dopo una battaglia con i Saraceni, furono trascinati dalla tempesta nei pressi dell’isola di Lampedusa dove sostarono al riparo in attesa di poter riprendere il loro viaggio di ritorno. I cavalieri avevano sulla loro nave una statua marmorea della Madonna che successivamente, dopo essere giunti a Trapani, affidarono alle cure dei carmelitani della città siciliana. I fatti a distanza di tempo, si ricollegano con il titolo dato a una cappella fondata a Lampedusa dagli eredi Gatt, dedicata alla Madonna di Monte Carmelo che fino a pochi anni or sono titolava questa Parrocchia. Inoltre, poiché qualche autore riferendosi all’immagine venerata nel sacello lampedusano la appellava “Madonna di Trapani”, ciò di certo deve collegarsi all’altro particolare relativo al Duca di Palma di Montechiaro, Giulio Tomasi Caro, primo principe di Lampedusa, che a ricordo della sosta della Madonna (poi detta di Trapani) nell’isola, volle nel medesimo santuario, di quella città ricordare l’avvenimento, stabilendo che “parte dei doni e delle oblazioni offerti per il culto della Madonna di Trapani andassero all’altro santuario dell’isola”. Ciò avvenne verso il 1653, data riportata nell’iscrizione dell’ex voto che, purtroppo, non ci è stato possibile riscontrare nel santuario dell’Annunziata a Trapani, dove si conservava.
Come si è detto, né il cronista francese, né nell’episodio dei cavalieri Templari Pisani vi è specifico riferimento ad una qualsiasi immagine sacra rinvenuta nell’eremo isolano, eccezion fatta per la croce dipinta sul pavimento del sacello di cui si è anzi detto.

La leggendaria equivoca figura dell’eremita di Lampedusa, che nel solitario santuario esercitava il doppio culto cristiano-musulmano (della Croce e della Mezza Luna) risalirebbe ad un’epoca successiva al crollo dell’Impero d’Oriente (1452), epoca in cui le flotte turche intrapresero indisturbate i loro traffici nel Mediterraneo. Allora, e non prima, si sarà determinata quell’anomala situazione di reciproca tolleranza, quell’uso di dividere un medesimo luogo convenientemente tra due differenti religioni e culti, una vera e propria inusata tolleranza non soltanto per i riti sacri, ma anche per lo scambio di merci che avveniva per tramite il santuario, divenuto anche centro di vettovaglie e mezzi con le donazioni lasciate ai piedi della Madonna, venerata anche con sommo rispetto dai Maomettani.

A riguardo alla statua della Madonna con bambino, più recentemente da fondi archivistici, si apprende che da una lettera del Pn (padron) Angelo Veneziano, maltese, indirizzata a Ferdinando Maria Tomasi II, principe di Lampedusa, verso la metà del XVIII secolo, gli dà notizia che sull’altare del Santuario: «sta di Marco la statua che la fece lavorare in Malta un mercadante chiamato Mario Li Vati»; e dunque, autore della statua è lo scultore Marco, forse maltese, non meglio identificato.
Non è stato possibile conoscere chi abbia collocato il dipinto, opera certamente della seconda metà del 500, che il genovese Andrea Anfossi trovò nell’isola e che portò con sé in modo prodigioso nella lontana Liguria dove nel 1619 sorge il Santuario dedicato a “Nostra Signora di Lampedusa”, sulle pendici di un colle, vicino a Castellaro e Arma di Taggia, in provincia di Imperia.

Nel 1812 i Gatt apportarono restauri al santuario e a ricordo di ciò sull’architrave dell’ingresso collocarono una lapide marmorea non pervenutaci. In occasione di quei restauri sarà abbattuto il prospetto d’ingresso al primo vano, che era in muratura, il quale formava un corpo appena prospiciente al vano interiore ricavato originariamente per metà nella grotta che corrisponde all’attuale santuario.

Attualmente il santuario è formato da un solo vano, a pianta asimmetrica, rimaneggiato più volte, in special modo durante l’ultimo dopoguerra; rimaneggiamento alquanto discutibile, per cui si auspica un serio restauro del medesimo e delle sue adiacenze.

La mutilazione della statua della Madonnna risale secondo il Fantoli alla fine del 1700, epoca in cui “l’isola veniva perdendo a poco a poco se non la fama tradizionale il cui ricordo era ancora vivo, la sua pietosa funzione”. “Ben altro spirito portavano poi nel Mediterraneo le navi, sempre più numerose, dei paesi protestanti; e finalmente, verso la fine del secolo, al tempo della rivoluzione francese, gli equipaggi di questa nazione”. Ma se la mutilazione risale effettivamente alla fine del XVIII secolo, non si spiega come mai i Gatt e gli altri maltesi che abitarono da veri padroni sull’isola fino al 1843 non provvidero a far restaurare la statua della Madonna che dal Sanvisente fu trovata abbattuta al suolo del sacello e mutilata della testa, mutilazione di cui, secondo le chiare allusioni del Fantoli si saranno resi responsabili i Francesi o gli Inglesi o gli Americani, (escludendo categoricamente e perciò inspiegabilmente gli stessi maltesi residenti nell’isola) che spesso approdavano sull’isola per rifornimenti di acqua, cacciagione e legna. Supponiamo che il nostro studioso non avrà avuto occasione di conoscere il carteggio intercorso fra gli eredi Gatt, la Principessa di Lampedusa e le Autorità Giudiziarie di Palermo, alle quali una delle eredi Gatt si rivolse per esporre i fatti accaduti a Lampedusa. Fatti commessi dai propri congiunti i quali si macchiarono perfino di gravi delitti, fra i quali quello di matricidio e per avere inoltre profanato le reliquie del Santuario, ivi compresa, senza alcun dubbio, la statua della Madonna.

Dopo il gesto vandalico, o di ignoranza, o di intolleranza, che mutilò la statua della Madonna della testa originale il successivo restauro fatto eseguire dal Sanvisente subito dopo il suo arrivo nell’isola per la colonizzazione della medesima; con la prima messa fatta celebrare nel Santuario il 22 settembre 1843 diede l’origine alla festività religiosa di maggiore prestigio, festività contemporaneamente civile e religiosa.
Successivamente, dalla fine del XIX secolo, l’immagine della Madonna venne appellata “Madonna di Porto Salvo” e proclamata patrona dell’isola di Lampedusa.

Articolo di Giovanni Fragapane
Foto di Tommaso Sparma, Archivio Storico Lampedusa
Tratto da l’IsolaBella Periodico – Anno X – Inverno 2019

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