Isole Pelagie: l’arcipelago dei delfini e delle balene

Delfini e balene, straordinari abitanti del mare che bagna le Isole Pelagie raccontati da chi ha dedicato la vita ad osservarli.

Era il lontano 1996 quando, ancora studente universitario, cominciai a collaborare col Centro Ricerca Delfini del CTS che all’epoca si occupava di protezione della fauna marina a rischio estinzione e di ricerca e monitoraggio dei cetacei marini nelle acque intorno alle isole Pelagie.

Ricordo ancora l’emozione del primo incontro con la popolazione locale di delfino tursiope (Tursiops truncatus è il nome scientifico) che popola ancora oggi il nostro mare e che dopo qualche tempo ho iniziato a conoscere molto bene, potendo ammirare, fotografare e persino riconoscere i singoli esemplari che, di volta in volta, avvistavo nelle mie escursioni giornaliere in mare aperto. La particolarità del tursiope (altrimenti detto delfino costiero) è il suo muso robusto ma tronco, non è allungato come negli altri delfinidi. Per intenderci, il delfino che comunemente vediamo a ridosso delle nostre coste è identificabile con “flipper”, il simpatico delfino della famosa serie che abbiamo imparato a conoscere in TV. Attorno alle coste dell’isola di Lampedusa, la popolazione del delfino costiero superava il centinaio di individui tra piccoli, giovani ed adulti e mi auguro che oggi sia rimasta almeno della stessa consistenza.

Gli aspetti che mi hanno da sempre affascinato sull’etologia dei delfini sono due: il primo aspetto riguarda la società di questi acrobatici mammiferi marini che è detta “matriarcale”. Il ruolo fondamentale della crescita dei più piccoli, infatti, è affidato interamente alle femmine che formano dei gruppetti di 6 – 8 esemplari con altre femmine dette “zie” che aiutano le madri persino nell’allattamento dei figli, se ce ne fosse il bisogno. I maschi, invece, sono dei tipi molto solitari e particolarmente schivi che formano dei gruppetti di due o tre esemplari che non stanno mai con le femmine ad eccezione del breve periodo che serve per l’accoppiamento; possono raggiungere dimensioni veramente notevoli fino a 400 chilogrammi di peso e una lunghezza di oltre 3 metri. Il secondo aspetto comportamentale che mi ha sempre incuriosito è il modo di dormire dei delfini che si suppone essere quello di tutti i cetacei: per riposare intanto si dispongono in gruppetti per sentirsi più protetti, poi si accordano sul mantenimento di una rotta stabilita e continuano lentamente a nuotare senza mai fermarsi. Infine, grazie agli studi effettuati su tursiopi in cattività come Flipper, si è scoperto che questi animali hanno sviluppato una particolare capacità del loro cervello che riesce a farli dormire con un emisfero cerebrale alla volta mentre l’altro resta comunque vigile per impedire di sbagliare rotta, di finire in qualche guaio durante il riposo e per continuare ad eseguire gli affioramenti in superficie per la respirazione. Ed ecco le stranezze di madre natura che si spinge dove la nostra fantasia a volte non osa, forgiando esseri come i cetacei che trascorrono tutta la loro esistenza in apnea, trattenendo il fiato, perché i loro polmoni hanno bisogno di aria atmosferica non sapendo ricavare l’ossigeno necessario direttamente dal mare (come invece fanno le branchie dei pesci). I delfinidi, infatti, si sono adattati solo secondariamente alla vita acquatica dopo che avevano già conquistato l’ambiente terrestre come mammiferi vertebrati, un adattamento così sorprendente che non solo li ha fatti competere egregiamente coi pesci e le altre creature marine ma grazie al loro cervello maturato in migliaia di anni di evoluzione naturale, sono diventati gli animali al vertice delle catene alimentari in cui vivono.

Ma l’incontro in mare che mi ha maggiormente sbalordito ed entusiasmato in modo indescrivibile è stato quello con uno dei più grandi animali al mondo: la balenottera comune (nome scientifico, balaenoptera physalus), una balena che ogni anno tra la fine di febbraio e la metà di aprile, raggiunge le coste delle nostre isole e nei bassi fondali inizia ad alimentarsi in modo spettacolare, uscendo dall’acqua con le fauci spalancate e mangiando quantità enormi di piccoli gamberetti e plancton che in primavera sono abbondanti. E ricordo il primo insegnamento che questi splendidi giganti del mare mi hanno dato: a dispetto delle loro dimensioni che possono arrivare ad oltre 25 metri di lunghezza e 80 tonnellate di peso, queste balenottere sono degli esseri mansueti e sensibilissimi ai suoni che si propagano in acqua e quindi è possibile avvicinarle solo rispettando il loro habitat e il loro comportamento. Non capivo, infatti, perché una volta avvistate e raggiunte con un gommone, le balene non si facevano minimamente avvicinare e subito si davano alla fuga. Solo con l’esperienza e lo studio del loro comportamento sono riuscito, negli anni di monitoraggio, a entrare in simbiosi con loro, facendo semplicemente attenzione a non irrompere con la mia potente imbarcazione a motore nel bel mezzo di una socializzazione o durante la loro alimentazione ma avvicinandomi con gradualità, a bassa velocità e col motore al minimo per permettere ai mammiferi marini di abituarsi alla mia fastidiosa presenza e permettendo loro di farmi accettare come parte integrante del loro gruppo e delle loro attività. Solo una volta raggiunta questa delicata fase era possibile avvicinare gli esemplari per studiarne il comportamento e foto identificare le loro pinne dorsali e annotare i loro segni identificativi per poterli riconoscere anche negli anni futuri quando, come per magia, le balene sarebbero ritornate nelle ricche acque delle nostre splendide isole. 

A distanza di anni, ora che l’avvistamento in mare dei cetacei non è più il mio lavoro ma è rimasto una magnifica passione, penso che avremo sempre qualcosa da imparare dalla natura e dalle sue creature, basta solo osservare con occhi pieni di curiosità e rispetto il fantastico pianeta che ci ospita.

Articolo di Damiano Sferlazzo
Foto di Calogero Maria Sparma
Tratto da l’IsolaBella Periodico Anno XI – Inverno 2020

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